Qualcuno potrebbe chiedersi se sia troppo prematuro avvicinare i bambini all'archeologia sin dalla scuola dell'infanzia. In risposta a e a motivazione della collaborazione avviata con il museo civico di Teramo, presentiamo un articolo apparso il 25 febbraio 2010 sul Corriere della Sera che può aiutarci a riflettere.
Denunce Ignoranza di ritorno, cementificazione, mancanza di fondi: l' allarme dell' archeologo per l' Italia e il suo patrimonio millenario.
Non capiamo più la nostra civiltà
«Città e campagne sono fiumi di storia che scorrono nell' indifferenza: è una questione nazionale»
La lingua si muove, anche nei suoni: sento giovani dire non «aglio» ma «aio». L' italiano risale a Dante e raggiunge il latino di Cicerone: una radice che si perde nei millenni e sboccia ogni giorno. La parlata di Maiorca è un catalano del Medioevo; il napoletano ottocentesco di un tassista di New York, una Pompei linguistica. Anche i linguaggi figurativi si sviluppano, innovando e congelando. È il nobile regno della storia dell' arte. Lo stesso accade con le costruzioni, che riprendono forme antiche oppure ci immettono in spazi mai percepiti, come nel «MaXXI» di Roma. È il nobile regno della storia dell' architettura. Questa capacità di viaggiare per testi e forme, scendendo e risalendo nel tempo, è l' essenza della cultura. Un aristocratico o un borghese, un contadino o un operaio, spaziavano da Omero o dalla Bibbia ai romanzi e al cinema, come se ogni uomo fosse un compendio di tutto il cammino umano. Poi è arrivata la stagione in cui presente e futuro hanno inghiottito il passato, entro individui sempre più isolati, esiti sì di una madre, forse anche di un padre, magari di qualche nonno, ma poi basta: «Hic sunt leones». In una condizione di vuoto storico, la cultura pare inutile. Essa non è più il presupposto di ogni promozione e attività. E venuto il tempo dei capi seducenti e dei loro seguiti, ubbidienti e incolti, che alla cultura hanno tolto mezzi - da decenni - senza tanto soffrire. I cittadini che qualcosa sanno, quasi se ne vergognano e comunque non vengono interpellati: servono a complicare le cose, mentre il desiderio è quello di semplificarle. Ma per semplificare deve esistere una complessità da ridurre. Bisogna affabulare, ma cosa comunica una testa vuota? Se qualcosa gli italiani sanno della lingua e della bellezza, ignorano la grammatica e sintassi delle città, delle periferie, dei villaggi, delle campagne, cioè la lingua dei paesaggi. Sanno qualcosa dell' ambiente - desiderano acqua e aria pulite - ma si arrendono davanti all' inquinamento visivo, allo spargersi della bruttezza, al cemento che divora l' inedificato. Non la ricerca e il patrimonio storico al primo posto - come Costituzione vuole - ma il cemento che ci intristisce e pregiudica un turismo che cala. Nessuno ha raccontato agli italiani la storia degli abitati e delle terre, sia a livello della Penisola sia a quello dei centri e dei loro territori. Ma città e campagne non si spiegano da sole, formano una lingua che dobbiamo apprendere, trame che dobbiamo ricostruire e comunicare. Già i musei di opere d' arte «mobili» raccontano poco, ma assai peggio andiamo per il resto. Architetture diffuse e coltivazioni non sono facilmente comprimibili in un museo e così la sommità del nostro patrimonio culturale, il contenitore che tutto ingloba, non riceve attenzione. Curiamo la persona, l' interno di casa, ma già l' ufficio è squallido, per non dire del più in là. Le città e i paesaggi sono fiumi di storia che scorrono e vi dovremmo distinguere le varie civiltà. Ma nel frattempo le arature profonde distruggono. Intere città antiche sotto campi di grano svaniscono per gli scassi. Una fattoria antica, di cui ieri scorgevamo i reperti tra le zolle, oggi non lascia traccia. Così Pompei cala centimetro per centimetro, in grande parte inedita, fino a quanto non resterà che polvere. Non è il muretto, il singolo reperto a preoccupare: è il tutto neppure documentato. Senza una campagna di racconti di insediamenti e di terre come quella che sta conducendo la Regione Toscana - ha offerto a cittadini fotografie aeree per scoprire palinsesti e progettare vite future - senza musei delle città e dei loro agri, senza trasmissioni televisive che narrino i luoghi facendoci scoprire come eravamo, senza mostrare la storia, gli Italiani rimarranno analfabeti della grande totalità del reale, dell' identità stratificata della loro patria e di loro stessi e sempre più si dedicheranno narcisismo avido, irregolare e amorale, che è il vizio di questo tempo. C' è una fame straripante di racconti che derivino da ricerche, ma l' offerta resta limitata e il ministero per i Beni culturali riceve solo poco più della metà della somma che è stato in grado di spendere. La cultura delle cose visibili è una droga benefica che il cervello si fabbrica, che ci riporta, dopo tanta distrazione, al gusto dell' attenzione. Il nostro Stato è ancora ragazzino, ma siamo nati su un suolo che non è l' Arizona ma un Eldorado di esperienza umana millenaria. Qui si radica la nostra identità, fatta di apporti diversi, di strati sovrapposti, di luoghi sommamente e densamente significativi, ammirati dai popoli del globo, tutti raccolti nella nostra Penisola e nelle sue Isole. Basta col trasformare campagne in periferie pseudourbane. È il momento di tradurre la cronaca morta in storia viva che sappia formare e affascinare i cittadini e coloro che vengono da lontano. È una questione nazionale, importante, quanto la scuola e la salute, che i nostri politici stentano a percepire, lo sguardo limitato alla prossima elezione. Quando verrà il tempo dei lungimiranti, di coloro che si preoccupano anche delle generazioni future? Se ci sono, a qualsiasi parte politica essi appartengano, battano un colpo. RIPRODUZIONE RISERVATA L' autore Andrea Carandini (foto) è nato a Roma nel 1937. Insegna Archeologia classica ed è presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali. È noto per la scoperta delle mura del Palatino del VIII secolo a.C. e per gli scavi nella villa romana di Settefinestre. Della sua pubblicistica, che è molto vasta, si ricordano: «Archeologia classica» (Einaudi), «Roma il primo giorno» (Laterza), «La nascita di Roma» (Einaudi), «La casa di Augusto» (Laterza)
«Città e campagne sono fiumi di storia che scorrono nell' indifferenza: è una questione nazionale»
La lingua si muove, anche nei suoni: sento giovani dire non «aglio» ma «aio». L' italiano risale a Dante e raggiunge il latino di Cicerone: una radice che si perde nei millenni e sboccia ogni giorno. La parlata di Maiorca è un catalano del Medioevo; il napoletano ottocentesco di un tassista di New York, una Pompei linguistica. Anche i linguaggi figurativi si sviluppano, innovando e congelando. È il nobile regno della storia dell' arte. Lo stesso accade con le costruzioni, che riprendono forme antiche oppure ci immettono in spazi mai percepiti, come nel «MaXXI» di Roma. È il nobile regno della storia dell' architettura. Questa capacità di viaggiare per testi e forme, scendendo e risalendo nel tempo, è l' essenza della cultura. Un aristocratico o un borghese, un contadino o un operaio, spaziavano da Omero o dalla Bibbia ai romanzi e al cinema, come se ogni uomo fosse un compendio di tutto il cammino umano. Poi è arrivata la stagione in cui presente e futuro hanno inghiottito il passato, entro individui sempre più isolati, esiti sì di una madre, forse anche di un padre, magari di qualche nonno, ma poi basta: «Hic sunt leones». In una condizione di vuoto storico, la cultura pare inutile. Essa non è più il presupposto di ogni promozione e attività. E venuto il tempo dei capi seducenti e dei loro seguiti, ubbidienti e incolti, che alla cultura hanno tolto mezzi - da decenni - senza tanto soffrire. I cittadini che qualcosa sanno, quasi se ne vergognano e comunque non vengono interpellati: servono a complicare le cose, mentre il desiderio è quello di semplificarle. Ma per semplificare deve esistere una complessità da ridurre. Bisogna affabulare, ma cosa comunica una testa vuota? Se qualcosa gli italiani sanno della lingua e della bellezza, ignorano la grammatica e sintassi delle città, delle periferie, dei villaggi, delle campagne, cioè la lingua dei paesaggi. Sanno qualcosa dell' ambiente - desiderano acqua e aria pulite - ma si arrendono davanti all' inquinamento visivo, allo spargersi della bruttezza, al cemento che divora l' inedificato. Non la ricerca e il patrimonio storico al primo posto - come Costituzione vuole - ma il cemento che ci intristisce e pregiudica un turismo che cala. Nessuno ha raccontato agli italiani la storia degli abitati e delle terre, sia a livello della Penisola sia a quello dei centri e dei loro territori. Ma città e campagne non si spiegano da sole, formano una lingua che dobbiamo apprendere, trame che dobbiamo ricostruire e comunicare. Già i musei di opere d' arte «mobili» raccontano poco, ma assai peggio andiamo per il resto. Architetture diffuse e coltivazioni non sono facilmente comprimibili in un museo e così la sommità del nostro patrimonio culturale, il contenitore che tutto ingloba, non riceve attenzione. Curiamo la persona, l' interno di casa, ma già l' ufficio è squallido, per non dire del più in là. Le città e i paesaggi sono fiumi di storia che scorrono e vi dovremmo distinguere le varie civiltà. Ma nel frattempo le arature profonde distruggono. Intere città antiche sotto campi di grano svaniscono per gli scassi. Una fattoria antica, di cui ieri scorgevamo i reperti tra le zolle, oggi non lascia traccia. Così Pompei cala centimetro per centimetro, in grande parte inedita, fino a quanto non resterà che polvere. Non è il muretto, il singolo reperto a preoccupare: è il tutto neppure documentato. Senza una campagna di racconti di insediamenti e di terre come quella che sta conducendo la Regione Toscana - ha offerto a cittadini fotografie aeree per scoprire palinsesti e progettare vite future - senza musei delle città e dei loro agri, senza trasmissioni televisive che narrino i luoghi facendoci scoprire come eravamo, senza mostrare la storia, gli Italiani rimarranno analfabeti della grande totalità del reale, dell' identità stratificata della loro patria e di loro stessi e sempre più si dedicheranno narcisismo avido, irregolare e amorale, che è il vizio di questo tempo. C' è una fame straripante di racconti che derivino da ricerche, ma l' offerta resta limitata e il ministero per i Beni culturali riceve solo poco più della metà della somma che è stato in grado di spendere. La cultura delle cose visibili è una droga benefica che il cervello si fabbrica, che ci riporta, dopo tanta distrazione, al gusto dell' attenzione. Il nostro Stato è ancora ragazzino, ma siamo nati su un suolo che non è l' Arizona ma un Eldorado di esperienza umana millenaria. Qui si radica la nostra identità, fatta di apporti diversi, di strati sovrapposti, di luoghi sommamente e densamente significativi, ammirati dai popoli del globo, tutti raccolti nella nostra Penisola e nelle sue Isole. Basta col trasformare campagne in periferie pseudourbane. È il momento di tradurre la cronaca morta in storia viva che sappia formare e affascinare i cittadini e coloro che vengono da lontano. È una questione nazionale, importante, quanto la scuola e la salute, che i nostri politici stentano a percepire, lo sguardo limitato alla prossima elezione. Quando verrà il tempo dei lungimiranti, di coloro che si preoccupano anche delle generazioni future? Se ci sono, a qualsiasi parte politica essi appartengano, battano un colpo. RIPRODUZIONE RISERVATA L' autore Andrea Carandini (foto) è nato a Roma nel 1937. Insegna Archeologia classica ed è presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali. È noto per la scoperta delle mura del Palatino del VIII secolo a.C. e per gli scavi nella villa romana di Settefinestre. Della sua pubblicistica, che è molto vasta, si ricordano: «Archeologia classica» (Einaudi), «Roma il primo giorno» (Laterza), «La nascita di Roma» (Einaudi), «La casa di Augusto» (Laterza)
Carandini Andrea
Pagina 47(25 febbraio 2010) - Corriere della Sera
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