Sacchetti di plastica, scatolame, pezzi di corda: è quanto scoperto da Giuseppe Nascetti, prorettore dell' università della Tuscia, dopo aver sezionato gli stomaci di 4 dei 7 capodogli morti sulla spiaggia di Foce Varano. Secondo Nascetti, tra i massimi esperti di
parassitologia ed ecologia marina, i capodogli potrebbero aver scambiato i rifiuti per calamari. «Quello che sembrava il capobranco ne aveva lo stomaco colmo; i tre che non avevano ingerito oggetti di plastica potrebbero averlo seguito sulla spiaggia», visto lo «spirito gregario dei gruppi di giovani maschi». Per Nicola Zizzo, anatomopatologo di Medicina veterinaria a Bari, i rifiuti potrebbero però non essere la causa diretta della morte. In alcuni esemplari sono stati rinvenuti degli emboli, «forse provocati da un' emersione troppo rapida». Hanno continuato a cercarsi fino alle prime luci dell' alba, chiamandosi a vicenda sulla spiaggia. In quei suoni che gli servono per orientarsi sono nascosti i nomi dei componenti del gruppo. Ma il destino di tutti era già segnato. Fino a che le loro voci si sono spente, una alla volta. Quando l' ultimo non ha più ottenuto risposta all' appello, se n' è rimasto in silenzio, aspettando. Chissà cosa li ha portati fin qui, dopo aver percorso centinaia di miglia, visitando inimmaginabili mondi sommersi, a trovare una morte certa sulla costa del Gargano. Hanno seguito il capobranco mentre puntava la terraferma, in un' incomprensibile opzione fatale. Ha preso lui la decisione. Ha invertito la rotta, sicuro e consapevole che anche gli altri sarebbero andati dietro alla sua schiena grigia. Perché se nasci capodoglio ti insegnano presto che fai parte di un gruppo e da quello dipende ogni cosa, la vita e anche la morte. Impari che il branco non è solo una famiglia, ma un grande organismo vivente, una coscienza collettiva che supera l' istinto, perfino quello di sopravvivenza. E impari a fidarti. Alcuni fra i capodogli del Gargano avevano buste di plastica negli stomaci. Le hanno scambiate per calamari, mentre aravano il fondo del mare con le bocche spalancate, credendo di cibarsi di ciò di cui vanno più ghiotti. È questo che fa rabbia. Non la morte, l' inganno. Deploriamo le baleniere norvegesi o giapponesi e la loro scriteriata mattanza, e poi uccidiamo questi esseri con un gesto quotidiano, banale, chiedendo un altro sacchetto alla cassa mentre facciamo la spesa. Non siamo più consapevoli delle conseguenze dei nostri comportamenti, anche dei più piccoli. Del reato consumato con la nostra semplice esistenza, ignara di altre esistenze. In queste ore c' è chi sostiene che non sia sufficiente una busta di plastica a determinare questa eutanasia collettiva. La verità più assurda, invece, è che abbiamo spietatamente sostituito il retaggio della natura con una cultura che contempla soltanto la nostra presenza su questo pianeta. La verità è che abbiamo dimenticato. Non ricordiamo più di essere figli dello stesso, fragilissimo equilibrio. Eppure non eravamo così. Quando è accaduto? Quando ci siamo trasformati da abitatori in padroni? In certe tribù polinesiane si narra la storia di un pescatore di granchi che per tutta la vita si è nutrito solo dei crostacei che pescava. E che, dopo la sua morte, a cent' anni, sia stato seppellito sulla spiaggia perché i granchi potessero nutrirsi di lui. I capodogli, per la loro esigenza di riemergere a respirare, sono un perfetto compromesso tra il mare ed il cielo. Se l' universo marino avesse voluto affidare un messaggio per gli uomini, li avrebbe scelti come ambasciatori. E forse in questo modo la loro morte non è così insensata. Forse esiste una ragione che ci riguarda, che ci tocca tutti, nessuno escluso. Il mondo di luce bianca e il mondo di luce blu, divisi e uniti da un sottile strato di azzurro: oltre quel confine così flebile nascondiamo, anche a noi stessi, i rifiuti assassini di un sistema insostenibile. E, paradossalmente, mentre a Copenaghen si cerca un modo per rimandare ogni decisione, l' estremo gesto di sette capodogli indifesi non ci aiuta a riflettere. Oggi è toccato a loro, domani chissà. Poche volte i capodogli spiaggiati accettano l' aiuto dell' uomo. Anche quando si riesce a rimetterli in mare aperto, quelli tornano ostinatamente a fare rotta verso la costa. Si dice che perdano l' orientamento. E se non fosse così? E noi ci meravigliamo della loro decisione, dimenticando quello che facciamo ogni giorno per autodistruggerci. Qual è, allora, la vera scelta suicida? Un tempo i capodogli vivevano quanto gli uomini e potevi incontrarli più volte nel corso di una vita, solcando i mari. E i pescatori cercavano sul pelo dell' acqua i segni del loro passaggio: l' ambra grigia secreta da questi cetacei si diceva portasse fortuna. Un tempo uomini e creature animali si riconoscevano a vicenda, si salutavano al confine fra due mondi diversi ed uniti - quello di luce bianca e quello di luce blu - con la consapevolezza di far parte di un tutto. Un tempo c' era un nemico dei capodogli che portava loro rispetto e che loro rispettavano. Non era una busta di plastica. Lo chiamavano Ismaele. RIPRODUZIONE RISERVATA I giganti del mare Il capodoglio è un animale ad alto rischio di estinzione, fondamentale per l' equilibrio del mare Mediterraneo. Predilige le acque profonde, dove va a caccia di seppie e calamari giganti Abitudini della specie Può restare in apnea anche due ore. I branchi hanno uno spirito gregario: i 7 esemplari spiaggiati nel Gargano potrebbero aver seguito un capobranco in difficoltà 7

Carrisi Giuseppe
(19 dicembre 2009) - Corriere della Sera
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