lunedì 10 gennaio 2011

SPUNTI DI RIFLESSIONE

Pubblichiamo un interessante articolo riguardante l'educazione alimentare apparso su "Prima Pagina" nel mese di dicembre 2010.

EDUCAZIONE ALIMENTARE: LA FAMIGLIA NON VA LASCIATA SOLA

E' la famiglia che trasmette la cultura alimentare e il processo che conduce all’acquisizione di un modello alimentare è simile all’apprendimento del linguaggio.Esso è fatto di tante piccole acquisizioni sensoriali, che creano rassicurazione rispetto all’inserimento di nuovi alimenti che pian pianino entrano a far parte delback ground alimentare di ogni bambino. Ogni nuovo alimento acquisito è un vocabolo in più che arricchisce il lessico alimentare del piccolo, dandogli la possibilità di esercitare una più ampia opportunità di gestione delle scelte alimentari. La scuola e l’educazione alimentare possono sinergizzare e direzionare verso la consapevolezza e l’equilibrio. In altre parole possono infl uire sulla grammatica e sulla sintassi dell’alimentazione, contribuendo a defi nire l’appropriatezza e la qualità delle scelte, ma poco effetto sortiscono relativamente alla capacità di modifi care abitudini acquisite e rinforzate dai rispettivi contesti familiari. La diffi coltà odierna nei confronti del cibo e la conseguente patologia del comportamento alimentare fanno da specchio alle problematiche relazionali intrafamiliari e alla crescente complessità del nostro vivere sociale, che non ha ancora acquisito validi modelli di riferimento. E’ notorio che ognuno di noi per avventurarsi nella vita ha bisogno di passare attraverso stadi rassicuranti. Il luogo più sicuro e rassicurante è stato certamente il grembo materno nel qualel’energia vitale fl uiva direttamente dal sangue materno, ma questa purtroppo rappresenta quella fase di passività verso la quale regrediamo ogni volta che ci troviamo ad affrontare importanti diffi coltà. Già da lattanti, abbiamo iniziato a sforzarci un po’ succhiando l’energia vitale dal seno materno. Ma che fatica alimentarsi senza una madre garante della trasmissione di una scala di valori e di un sistema alimentare all’interno di una cornice stabile e conosciuta mediata da un sistema familiare effi ciente! Ancora più faticoso prendere fi ducia nel cibo, quando intorno a noi, invece di una comunità promuovente ed egosintonica, ci si vede circondati da gente rassegnata all’obesità che ne fa un uso tossico o, al contrario, da gente che sta sempre a dieta o che rifi uta il cibo come se fosse un nemico da combattere. Occorre, dunque, avere la fortuna di imparare a mangiare in un contesto armonioso per avere un rapporto equilibrato e ponderato con il cibo. Altrimenti ci si perde e si ha bisogno di lunghi percorsi riabilitativi per riacquistare una relazione armonica con il cibo e con il proprio corpo. La riabilitazione psiconutrizionale attuata presso il centro di riferimento regionale di fisiopatologia della nutrizione di Giulianova interviene proprio per ristabilire il giusto equilibrio relazionale con il cibo, con il corpo, con gli altri, e per ripartire rispetto al percorso di crescita che si è bloccato e che si esprime in un corpo che attraversoobesità o deperimento ha perso la sintonia e l’armonia con l’ambiente sociale circostante. Spesso non rifl ettiamo sul fatto che, nella nostra troppo rapida evoluzione socioculturale, abbiamo stravolto molte usanze e abbiamo perso molti strumenti che prima avevamo per poter conoscere e costruire relazioni stabili e costruttive. La proverbiale ospitalità del nostro popolo aveva un fi ne ben preciso che era quello di analizzare e di vagliare, prima di entrare in confi denza con chicchessia, punti di vista, sentimenti, pensieri, ideali, intenzioni e azioni. In questo contesto relazionale il cibo costituiva una parte molto importante perché diventava il fulcro della relazione e consentiva un osservatorio privilegiato che offriva particolare attenzione all’ospite, verificandone tutti gli aspetti della sua identità e autenticità. Inoltre il cibo “buono” non era sempre disponibile, ma era anche atteso in occasioni importanti e suscitava l’attivismo e la partecipazione di madri, nonne, zie e vicine di casa. La cucina che rappresentava il grande laboratorio della manipolazione dei cibi diventava il luogo in cui avvenivano scambi di esperienze e riproduceva uno scenario quasi teatrale in cui le donne si esprimevano con gesti ampi, rassicuranti e generosi e evocavano baliatiche nostalgie. I bambini stessi partecipavano divertiti al teatrino e non erano scacciati né distratti e impegnati dalla televisione, ma giocando sotto i tavoli delle odorose cucine, aspettavano magari di poter rubare con gesti fulminei qualche leccornia. Qui avveniva magicamente la trasmissione dell’energia vitale del sapere e della conoscenza che è il motore che spinge ad avventurarci nella nostra personale ricerca: il cibo attraverso questa via entrava nella memoria perché rimaneva legato alla mente dall’esperienza olfattoria che incide molto più profondamente di qualsiasi altra esperienza sensoriale. Oggi, la disponibilità quotidiana di ognicosa e di qualsiasi alimento, la mancanza del tempo da dedicare alla conoscenza dell’altro e alla elaborazione del cibo “buono”, la mancanza dell’apprezzamento olfattorio del cibo e delle sue complesse elaborazioni, alimentano superficialità, diffi denza, squilibrio e disgusto, così frequenti tra i ragazzi. L’occasione, l’attesa, la curiosità, animano il gusto, mentre l’eccesso del cibo e la mortifi cazione della sensorialità producono disgusto. Il cibo,inoltre, non ha più connotazioni affettive perché non è più identifi cato come l’anima e il collante delle relazioni. La mancanza di gusto, scriveva Guy De Maupassant, “significa possedere una bocca stupida, così come si può avere una mente sciocca”. Ne deriva che, a causa dell’invadenza e dello strapotere dell’informazione e della tecnologia, rischiamo di diventare idioti e saccenti, senza esserne coscienti, perché tutto appare indispensabile e inevitabile. Tuttavia nulla passa al vaglio attento della nostrasensorialità, per cui ci troviamo costretti ad ingurgitare senza assaporare, a sentirci spiacevolmente sazi senza aver apprezzato il piacere di mangiare. Si sa tutto, si è informati di tutto, ma al tempo stesso, per effetto della sovraesposizione a dati e immagini, non si è più in grado di assimilare e di rifl ettere su nulla. Tutto scorre, ma in cervelli saturi di informazioni e vuoti di pensiero, in corpi grassi, ma ancora affamati. Tutti hanno tutto o aspirano ad avere tutto, ma il consumo ha consumato il consumatore. Si scivola insensibilmente in una condizione in cui non c’è più tempo per desiderare, degustare, conoscere, integrare, ma possiamo solo ingurgitare, rifiutare, emarginare, vomitare. Questa nuova condizione sta producendo una generazione di ragazzi che tendono ad una semplifi cazione gustativa e olfattiva e che sono maggiormente infl uenzati dall’immagine dell’alimento, in opposizione alle lungaggini della preparazione del cibo e inopposizione alle regole della sana alimentazione che richiedono l’uso indispensabile ed appropriato della cucina “laboratorio” . Oggi la cucina è arricchita di nuove tecnologie che rendono molto più facile l’elaborazione del cibo, ma questa possibilità è praticata solo da chi da il giusto valore a questo aspetto. All’alimento cucinato, di cui i ragazzi non sono più abituati a condividere i processi di produzione, si preferisce l’alimento assemblato, di cui i giovani riescono più facilmentead infl uenzarne la composizione, attraverso la scelta dei vari alimenti che possono essere inseriti in un panino o in una pizza, come in un puzzle; in fondo la società stessa spinge verso soluzioni alimentari semplifi cate. Poco può l’educazione alimentare, intesa come ragionamento scientifi co o dimostrazione pratica per convincere il bambino a mangiare il giusto; i ragazzi hanno maggior fiducia di ciò che vedono e vivono (e quindi di ciò che artatamente gli vien dato di vedere e vivere) che non di ciò che sentono. Per concludere l’educazione alimentare non può essere efficace ove non si lavori, in modo coerente ed unanime, al risveglio di un orgoglio identitario e di modalità tipicamente abruzzesi, non solo gastronomiche, di saper vivere come spazio emotivo e di memoria il nostroterritorio, pur nel suo complesso percorso di trasformazione e di modernizzazione. Per far ciò è necessaria la famiglia, ma è indispensabile anche la presenza e la coerenza della società civile.
A cura di PAOLO DE CRISTOFARO - DIRETTORE CENTRO REGIONALE DI FISIOPATOLOGIA DELLA NUTRIZIONE ASL TERAMO


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